Archivio mensile:Aprile 2020

Dove è il Risorto in tempo di #coronavirus ?

Dove è il Risorto nella pandemia e nelle sue conseguenze ?

Dove è nella malattia e nella morte, nell’isolamento e nella distanza sociale, nella mancanza del lavoro e nella povertà ?

Dove è nella fatica a fare festa e nella inibizione per ogni forma di prossimità e affetto ?

Dove è nello spegnimento dei sogni e nella censura dei più semplici, buoni e anche banali desideri ?

Dove è il Risorto, quando la pietra sembra ancora chiudere il sepolcro e il sabato prosegue nel suo silenzio che non riesce a conquistare l’alba del “primo giorno dopo il sabato” ?

Dove è quel Risorto che entrava a porte chiuse e oggi sembra non entrare, a porte chiuse e senza wi-fi, nelle case di ragazzi poveri, senza PC e senza tablet e con la  rete debole ?

Quanta fatica !

Ma la fede senza fatica, non è fede autentica .

La fede senza dubbio, non è fede robusta.

La fede senza un cammino, non acquisisce anticorpi.

Non esiste una fede autoimmune.

Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!».

Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».

Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.

Siamo in buona compagnia: non credettero !

Gli stessi che non credettero ricevettero la missione da compiere: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».

Un rimprovero è da accettare, perché è il primo passo per la conversione e anche la premessa per continuare il cammino.

Al pentimento deve seguire la decisione.

Dove è il Risorto ?

E’ da cercare sempre, perché è oltre ….. oltre il presente.

Ed è da riconoscere nel momento presente, in segni quotidiani: spezza il pane, mangia il pesce arrostito.

Il Risorto è chi nella mia stessa stanza parla e chiede ascolto, e chi mi telefona e desidera scambiar due parole per uno sfogo, per una sofferenza da confidare, per un silenzio da affrontare.

Il Risorto è nell’operatore sanitario che generosamente è disponibile e affronta il rischio, è nel rappresentante di una pubblica istituzione che opera nel silenzio e senza falsi proclami, è nell’agente delle forze dell’ordine che tutela la sicurezza e la salute pubblica.

Il Risorto è nel volontario che porge un pasto a chi ha fame,  e nel cittadino che buon cristiano contribuisce economicamente per chi ha una situazione personale o famigliare in difficoltà per la mancanza del lavoro.

“Tendi la tua mano e mettila nel mio fianco”.

E’ da riconoscere !

Una fatica ricompensata anche quando sembra soffrire di fallimento : beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!

LO SCHIAVO LAVA I PIEDI, LO SCHIAVO E’ VENDUTO

C’è uno schiavo al centro delle Celebrazioni di preghiera nel Giovedì e nel Venerdì della Settimana Santa.

Nel Giovedì Santo del 2020 mi sono sentito carico di privilegio. Sì. Uno dei pochi cristiani con libero accesso in un Tempio sacro, e con la possibilità di concelebrare come i Giovedi santo degli anni precedenti.

E pensare che il Giovedì Santo è uno di quei momenti nei quali c’è sempre stata una maggiore partecipazione di fedeli: praticanti quotidiani e praticanti domenicali, praticanti festivi e praticanti occasionali per Prime Comunioni e Matrimoni, praticanti per dovere istituzionale e praticanti timorosi e dunque impegnati a ricevere il bollino  del credente per evitare un guaio imprevisto.

Privilegio quest’anno oltre quello di tanti che hanno partecipato con l’aiuto della tecnologia: diretta Facebook o Youtube, streaming in TV, e non meno anche la tradizionale Radio forse per tanti costretti in una poltrona o nel letto della malattia.

La mancanza totale del rito della lavanda dei piedi ha suscitato una rinnovata riflessione.

La mancanza del rito ha provocato l’attenzione per un rinnovato impegno.

Il vuoto delle panche annualmente impegnate ad accogliere i prescelti per rappresentare i Dodici, è stato colmato dalla attenzione che giustamente merita quel racconto che nell’Evangelista Giovanni sostituisce e completa il racconto dell’ultima Cena presentata nei tre Sinottici.

Casualità ? Una pur legittima volontà di non essere ripetitivo,  e dunque da parte di Giovanni il desiderio di presentare un nuovo e sconosciuto segno,  così come altri nello stesso quarto Evangelo ?

Per di più un segno più igienico che liturgico, più di buona educazione nel segno dell’accoglienza per l’ospite che icona di un nuovo stile di comportamento. Non sfugga il particolare che è un gesto riservato a chi meno aveva rilievo in famiglia, più adatto a un discepolo che al Maestro, più adatto a un figlio che al padrone di casa, più adatto allo schiavo e al servo che all’uomo libero.

Schiavo, servo,…. sì ! Colui che lava i piedi si comporta da servo e da schiavo : infatti è venduto per trenta denari, il valore di uno schiavo.

Quello schiavo che lava i piedi rovescia la prospettiva, anzi molto di più. Si rovescia la realtà.

Lo schiavo diventa il padre che serve,  e il servo diventa il Signore.

Giocando un po’ con i termini linguistici, c’è da ricordare che il tràdere (in latino = consegnare) diventa tradire (in italiano = consegnare all’avversario).

La consegna dell’amore nella lavanda dei piedi degenera nella consegna agli avversari-

Partecipare alla lavanda dei piedi diventa un onere e un impegno.

Quella lavanda raccontata nel quarto Evangelo completa la realtà e il significato della Cena.

Quella Cena senza la lavanda non è completa nella esistenzialità quotidiana. Il Sacramento ha bisogno di essere verificato, si potrebbe azzardare di dire certificato, nella corresponsabilità umana, dalla lavanda, dal servizio.

Se Dio si comunica all’uomo nel gesto estremo della Croce,

l’uomo si comunica a Dio nel Sacramento del servizio.

Al privilegio e all’onore di essere ammessi alla Cena,

deve corrispondere l’onere della corresponsabilità nel servizio.