Quando ascoltiamo una parabola come quella che oggi ci viene proposta, ancora di più siamo chiamati a lasciarci interrogare dal racconto e dal suo insegnamento, e oggi possiamo domandare: da che parte mi trovo ?
La persona dell’epulone (che significa mangione – ghiottone) e quella di Lazzaro (che significa colui che è assistito da Dio) possono essere l’immagine nella quale a rischio può trovarsi ciascuno di noi.
Sentirsi sazio e cercare la sazietà, forse anche in maniera senza limiti, e curare eccessivamente la propria persona e la propria immagine (i vestiti).
Immaginarsi sicuro e anche spensierato nella allegra vita quotidiana come fa riferimento il Profeta Amos.
Forse in questa ricerca preoccupata e anche affannosa di sazietà, si cerca di riempire il vuoto che non è tanto quello dello stomaco, ma quello della mente e del cuore: e forse, proprio perché si ha anche fare con un vuoto che di volta in volta è di affetti, di sentimenti, di intelligenza, di cuore, non rimane che apparire, e quasi convincersi, e convincere chi mi sta vicino, con una apparenza che luccica ma che non ha corrispettivo adeguato alla realtà.
Cultura dell’effimero, e se si dovesse trattare di un prodotto commerciale diremmo che si tratta di bigiotteria.
E questo specchiarsi eccessivamente finisce per creare solitudine, isolamento, separazione, un muro.
L’ epulone finisce per non avere successo e termina nella sofferenza: quella innanzi tutto del silenzio, dell’abbandono a se stesso, dell’isolamento.
Proprio un’illusione è l’apparenza, e i lauti banchetti non giungono alla totalità della soddisfazione.
Nessuno può essere totalmente sufficiente a se stesso, e nessuno può illudersi che non si abbia bisogno dell’altro, forse proprio di chi si immagina incapace perché ritenuto povero e limitato.
“Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, ….”
Lazzaro, coperto di piaghe e bramoso di sfamarsi, ora è ritenuto il salvatore.
Fare l’esperienza della fede vuol dire cercare la salvezza e la soluzione la dove sembra primeggiare la povertà, la miseria, il limite, l’inefficienza, la nullità.
Fare l’esperienza delle fede vuol dire coltivare la coscienza del limite e ricercare a soluzione oltre la propria sazietà e il proprio compiacimento.
Fare l’esperienza della fede vuol dire riconoscere che giorno dopo giorno si ha bisogno di qualcuno che gratuitamente offra qualcosa che non è conquista, ma dono, non possesso, ma misericordia gratuita e immeritata.
Ogni giorno, avere fede, significa conquistare una porzione di Regno e di vita eterna, ma senza mai raggiungere la completezza: ogni giorno c’è un passo da compiere.
E questo perché la completezza e la pienezza non appartiene immediatamente alla vita su questa terra.
Incompletezza e limite: l’epulone aveva cinque fratelli e dunque lui era il sesto. Mancava il settimo che nella simbologia avrebbe dato il sigillo della completezza e della pienezza.
Lazzaro, invocato come sostegno, è desiderato come settimo fratello.
Dove c’è pienezza, soddisfazione, completezza, sazietà, accompagnate dalla presunzione di avere già tutto, non c’è posto per nessun altro e dunque nemmeno per Dio.
L’ epulone si è fatto dio per se stesso mentre Lazzaro (il significato del nome lo ricorda .. colui che è assistito da Dio) e colui che porge la mano per mendicare e chiedere aiuto, mentre l’epulone ha la mano chiusa che diventa un pugno e crea separazione, ostacolo, chiusura, …. tra noi e voi è stato fissato un grande abisso.
Fare esperienza di fede è una battaglia, ricorda l’Apostolo Paolo: chiediamo di coltivare la speranza perché non venga meno la fedeltà nei momenti nei quali sembra dover sperimentare con più forza il bisogno di Lazzaro e il doversi accontentare solo delle briciole che cadono dalla mensa : quelle briciole sono segni della presenza e dell’amore di Dio.