Archivio mensile:Settembre 2019

Falsa partenza per l’ epulone e Lazzaro è sul podio

Quando ascoltiamo una parabola come quella che oggi ci viene proposta, ancora di più siamo chiamati a lasciarci interrogare dal racconto e dal suo insegnamento, e oggi possiamo domandare: da che parte mi trovo ?

La persona dell’epulone (che significa mangione – ghiottone) e quella di Lazzaro (che significa colui che è assistito da Dio) possono essere l’immagine nella quale a rischio può trovarsi ciascuno di noi.

Sentirsi sazio e cercare la sazietà, forse anche in maniera senza limiti, e curare eccessivamente la propria persona e la propria immagine (i vestiti).

Immaginarsi sicuro e anche spensierato nella allegra vita quotidiana come fa riferimento il Profeta Amos.

Forse in questa ricerca preoccupata e anche affannosa di sazietà, si cerca di riempire il vuoto che non è tanto quello dello stomaco, ma quello della mente e del cuore: e forse, proprio perché si ha anche fare con un vuoto  che di volta in volta è di affetti, di sentimenti, di intelligenza, di cuore, non rimane che apparire, e quasi convincersi, e convincere chi mi sta vicino,  con una apparenza che luccica ma che non ha corrispettivo adeguato alla realtà.

Cultura dell’effimero, e se si dovesse trattare di un prodotto commerciale diremmo che si tratta di bigiotteria.

E questo specchiarsi eccessivamente finisce per creare solitudine, isolamento, separazione, un muro.

L’ epulone finisce per non avere successo e termina nella sofferenza: quella innanzi tutto del silenzio, dell’abbandono a se stesso, dell’isolamento.

Proprio un’illusione è l’apparenza, e i lauti banchetti non giungono alla totalità della soddisfazione.

Nessuno può essere totalmente sufficiente a se stesso, e nessuno può illudersi che non si abbia bisogno dell’altro, forse proprio di chi si immagina incapace perché ritenuto povero e limitato.

“Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, ….”

Lazzaro, coperto di piaghe e bramoso di sfamarsi, ora è ritenuto il salvatore.

Fare l’esperienza della fede vuol dire cercare la salvezza e la soluzione la dove sembra primeggiare la povertà, la miseria, il limite, l’inefficienza, la nullità.

Fare l’esperienza delle fede vuol dire coltivare la coscienza del limite e ricercare a soluzione oltre la propria sazietà e il proprio compiacimento.

Fare l’esperienza della fede vuol dire riconoscere che giorno dopo giorno si ha bisogno di qualcuno che gratuitamente offra qualcosa che non  è conquista, ma dono,  non possesso, ma misericordia gratuita e immeritata.

Ogni giorno, avere fede, significa conquistare una porzione di Regno e di vita eterna, ma senza mai raggiungere la completezza: ogni giorno c’è un passo da compiere.

E questo perché la completezza e la pienezza non appartiene immediatamente alla  vita su questa terra.

Incompletezza e limite: l’epulone aveva cinque fratelli e dunque lui era il sesto. Mancava il settimo che nella simbologia avrebbe dato il sigillo della completezza e della pienezza.

Lazzaro, invocato come sostegno, è desiderato come settimo fratello.

Dove c’è pienezza, soddisfazione, completezza, sazietà, accompagnate dalla presunzione di avere già tutto, non c’è posto per nessun altro e dunque nemmeno per Dio.

L’ epulone si è fatto dio per se stesso mentre Lazzaro (il significato del nome lo ricorda .. colui che è assistito da Dio) e colui che porge la mano per mendicare e chiedere aiuto, mentre l’epulone ha la mano chiusa che diventa un pugno e crea separazione, ostacolo, chiusura, …. tra noi e voi è stato fissato un grande abisso.

Fare esperienza di fede è una battaglia, ricorda l’Apostolo Paolo: chiediamo di coltivare la speranza perché non venga meno la fedeltà nei momenti nei quali sembra dover sperimentare con più forza il bisogno di Lazzaro e il doversi accontentare solo delle briciole che cadono dalla mensa : quelle briciole sono segni della presenza e dell’amore di Dio.

Rovesciare l’ordine delle notizie

Cari fratelli e sorelle,

do il mio benvenuto a tutti voi in occasione del 60° anniversario dell’Unione Cattolica della Stampa Italiana, e ringrazio la Presidente per le sue cortesi parole. È coraggiosa! Parla con forza!

Vi siete riuniti per fare memoria di una “vocazione comunitaria” – frutto del sogno dei fondatori –, che è quella di essere, come è scritto nel vostro Statuto, «un’associazione professionale ed ecclesiale che trova ispirazione nel servizio alle persone, nel Vangelo e nel Magistero della Chiesa».

Vi incoraggio a portare avanti questa missione attingendo sempre linfa dalle radici che vi hanno fatto nascere: la fede, la passione per la storia degli uomini e la cura delle dimensioni antropologica ed etica della comunicazione. La rivista “Desk” e il sito web, la scuola di formazione di Assisi e le tante attività nei territori sono i segni concreti del vostro servizio al bene comune.

Per rinnovare la vostra sintonia con il magistero della Chiesa, vi esorto ad essere voce della coscienza di un giornalismo capace di distinguere il bene dal male, le scelte umane da quelle disumane. Perché oggi c’è una mescolanza che non si distingue, e voi dovete aiutare in questo. Il giornalista – che è il cronista della storia – è chiamato a ricostruire la memoria dei fatti, a lavorare per la coesione sociale, a dire la verità ad ogni costo: c’è anche una parresia – cioè un coraggio – del giornalista, sempre rispettosa, mai arrogante.

Questo significa anche essere liberi di fronte all’audience: parlare con lo stile evangelico: “sì, sì”, “no, no”, perché il di più viene dal maligno (cfr Mt 5,37). La comunicazione ha bisogno di parole vere in mezzo a tante parole vuote. E in questo avete una grande responsabilità: le vostre parole raccontano il mondo e lo modellano, i vostri racconti possono generare spazi di libertà o di schiavitù, di responsabilità o di dipendenza dal potere. Quante volte il giornalista vuole andare su questa strada, ma ha dietro di sé un editore che gli dice: “no, questo non si pubblica, questo sì, questo no”, e si passa tutta quella verità nell’alambicco delle convenienze finanziarie dell’editore, e finisce per comunicare quello che non è vero, che non è bello e che non è buono. Da molti vostri predecessori avete imparato che solo con l’uso di parole di pace, di giustizia e di solidarietà, rese credibili da una testimonianza coerente, si possono costruire società più giuste e solidali. Purtroppo però vale anche il contrario. Possiate dare il vostro contributo per smascherare le parole false e distruttive.

Nell’era del web il compito del giornalista è identificare le fonti credibili, contestualizzarle, interpretarle e gerarchizzarle. Porto spesso questo esempio: una persona muore assiderata per la strada, e non fa notizia; la Borsa ribassa di due punti, e tutte le agenzie ne parlano (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 53). Qualcosa non funziona.

Non abbiate paura di rovesciare l’ordine delle notizie, per dar voce a chi non ce l’ha; di raccontare le “buone notizie” che generano amicizia sociale: non di raccontare favole, ma buone notizie reali; di costruire comunità di pensiero e di vita capaci di leggere i segni dei tempi. Vi ringrazio perché già vi sforzate di lavorare per questo, anche con documenti come la Laudato si’, che non è un’enciclica ecologica, ma sociale, e promuove un nuovo modello di sviluppo umano integrale: voi cooperate a farlo diventare cultura condivisa – grazie! –, in alternativa a sistemi nei quali si è costretti a ridurre tutto al consumo.

Associazioni come la vostra, per continuare a portare frutto, devono saper riconoscere con umiltà e potare i “rami secchi”, che si sono seccati proprio perché con il tempo hanno perso il contatto con le radici. Oggi voi operate in un contesto storico e culturale radicalmente diverso da quello in cui siete nati. E nel frattempo si sono sviluppate anche modalità di gestione associativa più snelle e più centrate sulla missione: vi incoraggio a percorrerle senza timore e a riformarvi dall’interno per offrire una migliore testimonianza.

Il vostro cammino è storicamente legato a quello della Chiesa in Italia; e vi accompagnano alcuni padri scrittori della Civiltà Cattolica iscritti all’Associazione. Possiate continuare a contare su questi importanti riferimenti.

Il 12 giugno 2010 la Chiesa ha proclamato Beato il primo giornalista laico, Manuel Lozano Garrido, più conosciuto come Lolo; egli visse ai tempi della guerra civile spagnola, quando essere cristiani significava rischiare la vita. Nonostante la malattia che lo costrinse a vivere ventotto anni sulla sedia a rotelle, non cessò di amare la sua professione. Nel suo “decalogo del giornalista” raccomanda di “pagare con la moneta della franchezza”, di “lavorare il pane dell’informazione pulita con il sale dello stile e il lievito dell’eternità” e di non servire “né pasticceria né piatti piccanti, piuttosto il buon boccone della vita pulita e speranzosa”. Davvero un bell’esempio da seguire!

Cari amici, a voi e alle vostre famiglie assicuro il mio ricordo nella preghiera. Benedico di cuore il vostro lavoro, perché sia fecondo. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

Papa Francesco 23 settembre 2019